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La scelta - il libro di Remuzzi [17/02/2015]

Articolo di Gilberto Corbellini (Sole 15.2.15) sul libro Giuseppe Remuzzi “La scelta. Perché è importante e come vorremmo morire”, Sperling & Kupfer, Milano, pagg. 180, € 16,00

 

“”Chi non ha pensato a come preferirebbe morire? E non è forse vero che quasi tutti sceglieremmo una morte improvvisa, magari nel sonno? E non ci augureremmo di morire per cancro. Ebbene questo luogo comune è stato sfidato e, nei primi giorni del gennaio scorso, un piccolo psicodramma intellettuale si è consumato per i cultori di temi medico-sanitari. Richard Smith, per 25 anni editor del «British Medical Journal» e influente personaggio dell’economica pubblicistico-industriale che ruota intorno alla medicina, scriveva sul suo blog che una bella morte non è quella istantanea. E citava il regista Luis Buñuel, per il quale morire rapidamente priverebbe di alcuni piaceri, come ripercorrere il film della propria vita, accomiatarsi dagli amici eccetera. Buñuel morì per un cancro al pancreas, come Steve Jobs, e Smith ritiene che la malattia di cui oggi è preferibile morire, in compagnia di «morfina, amore e whisky», sia proprio il cancro. Il modo peggiore di morire sarebbe in uno stato di demenza, secondo Smith, che en passant criticava la hybris degli oncologi, che non lasciano morire in pace i malati, e l’eccesso di investimenti nell’inutile tentativo di curare il cancro.
I commenti al blog sono stati quasi 200 in poche ore, la maggior parte dei quali insulti. Un certo numero da parte di genitori con bambini colpiti dal cancro. Per rintuzzare gli equivoci, Smith scriveva un nuovo blog in cui precisava che egli non voleva offendere nessuno, né sottovalutare l’impegno della lotta contro il cancro, ma solo esprimere un personale punto di vista in merito a un tema spesso discusso, alla luce del modo in cui la medicina di fine vita sta cambiando il modo di morire nelle società più sviluppate.
In effetti, nei Paesi governati da un classe politica intelligente e benevola, il tema delle scelte di fine vita è un’emergenza ascoltata, anche come istanza per migliorare la qualità della convivenza civile. La scelta di come morire, al di là della malattia, che non è nelle nostre disponibilità – salvo alcune forme di suicidio – è una sfida culturale non più eludibile.
L’ultimo libro di Giuseppe Remuzzi illustra bene le ragioni per cui l’atteggiamento medico verso le morti degenerative, cioè le morti lente, cronicamente dolorose e psicologicamente stressanti, non può continuare a essere quello che per secoli si è tenuto verso le morti acute, quando cioè il decorso di infezioni o traumi per cui non esistevano trattamenti portava rapidamente al decesso.
Anche perché nel mondo occidentale, oggi, circa un terzo di quello che si spende per la salute è destinato agli ultimi mesi di vita. Negli Stati Uniti si cominciò dai primi anni Novanta a incentivare, anche attraverso le direttive anticipate, la scelta di morire a casa e senza spendere soldi per trattamenti inutili. Per il momento senza risultati apprezzabili. Però ci vuole tempo per cambiare i comportamenti, dato che per oltre un secolo si è incoraggiato il ricorso all’ospedale e si è sovra-drammatizzata la morte. Un po’ più di sincerità e serenità aiuterebbero le future generazioni a gestire scenari che saranno complicati evitando involuzioni o scorciatoie.
«Chi vuole prolungare l’agonia della gente a tutti i costi – scrive Remuzzi – parla di dignità della vita. È un vecchio trucco retorico». Infatti, è spingendo le persone a morire nella disperazione e nel dolore che si toglie loro dignità e le si priva di un diritto fondamentale, cioè la libertà di vivere fino alla fine aderendo ai propri valori.
«Forse è ora che i medici – continua Remuzzi – cambino completamente il loro modo di guardare le cose. Vediamo sempre la morte come una sconfitta. Non dovrebbe essere più così. Aver aiutato qualcuno a morire bene, a casa sua, con un po’ di morfina se ha dolore, fra le cose sue e chi gli vuole bene, è un grande traguardo a cui dovremmo tendere, sempre». È auspicabile che l’Ordine dei medici ascolti le parole di saggezza di un clinico e ricercatore italiano tra i più riconosciuti internazionalmente.
Remuzzi pensa anche che la questione sia troppo complessa perché si possa imbrigliare giuridicamente. «Non si possono stabilire regole che valgano per tutti; questa è una materia delicatissima, fatta di pochi punti fermi e moltissime storie, diverse una dall’altra, e di tante sfumature che coinvolgono la sfera privata delle persone». In realtà, non serve entrare troppo in dettaglio e alcuni paletti formali sono invece necessari, soprattutto perché non tutti e non sempre i medici sono disposti a rispettare la libertà dei pazienti.”"

 


::::::    Creato il : 17/02/2015 da Magarotto Roberto    ::::::    modificato il : 17/02/2015 da Magarotto Roberto    ::::::